Il rinnovamento del Duomo fra '600 e '700

Se i lavori edilizi relativi all'ampliamento del Duomo si svolsero piuttosto celermente nel periodo compreso tra il 1656 e il 1659, per la decorazione interna furono necessari tempi più lunghi e, per la facciata si dovette attendere addirittura il secolo successivo. Un momento di particolare fervore è rappresentato dal periodo in cui fu parroco il nobile Ludovico de Comelli, arrivato da Versa nel 1683 e rimasto in carica fino al 1700, anno della morte. Fu lui, nel 1690, ad affidare l'esecuzione dell'altare maggiore a Leonardo Pacassi (lo ricordano le Cronache parrocchiali: "doppo aver avuto...più e più disegni si da Venezia che d'altri luoghi, s'appigliò come più di Genio a quello del sig. Leonardo Pacassi all'ora abitante in Gorizia") e a commissionare anche altri lavori di abbellimento: ad esempio volle trasportare da Versa l'altare di San Nicolò, che fece modificare a Gradisca con l'aggiunta, ai lati della mensa, dell'arma di Casa Comelli. 

Nel progettare l'altare Leonardo Pacassi dovette tener conto soprattutto dell'esistenza della pala cinquecentesca del Redentore - attribuita genericamente alla scuola friulana, o pordenonesca (Morassi, 1930) ma da qualche studioso più precisamente a Pomponio Amalteo (sempre Morassi citato da Ettore Patuna) o a Pomponio Secante (Bergamini, 1981) - ma riuscì ad inserirla pienamente nel contesto dell'altare incorniciandola con un finto drappo in marmo rosso, sorretto e movimentato da un volo di otto puttini in marmo bianco. Sulla sommità è collocato un angelo reggidrappo dall'espressione patetica che ricorda in qualche misura la Madonna della Pietà avvalorando, sia pure con molti dubbi, la possibilità che quell'opera sia di Leonardo Pacassi. Alla base, invece, due volute piatte in marmo mero collegano visivamente il fondo del presbiterio alla più bassa e avanzata struttura del tabernacolo.

L'altare vero e proprio è costituito da una mensa particolarmente raffinata, caratterizzata da un paliotto in marmo di Carrara decorato a motivi floreali con inserti di marmi policromi, in cui si inseriscono due specchi con cornice a forma di stella realizzati con la tecnica del commesso marmoreo e raffiguranti vasi di fiori con frutti alla base. Come sottolineano studi recenti (Perusini- Spadea, 1998) questi lavori, creati nell'ambito del fiorentino Opificio delle Pietre Dure, dopo essere comparsi nella prima metà del secolo XVII a Padova, si erano diffusi a Venezia e in tutta l'area veneta. Nel Goriziano furono introdotti da Leonardo Pacassi, cui si devono realizzazioni analoghe anche nelle chiese di Chiopris e Mariano.

Al centro della complessa struttura troviamo un tabernacolo piuttosto elaborato, con quattro colonnine di marmo rosso poggianti su basi intarsiate che reggono un fastigio arricchito da motivi vegetali e sormontato da un angioletto. La porticina del Santissimo è inserita in una spumeggiante cornice di nubi e teste di cherubini, motivo che si ritrova anche in altre opere minori pacassiane (edicole del colle della Castagnevizza). Ai lati del tabernacolo si allargano morbidamente due finti drappi in marmo giallo retti alle estremità da due puttini che lo collegano alle porte laterali, a loro volta riccamente decorate a intarsi di marmi sottolineati da profili neri. La loro funzione è anche quella di reggere le due grandi statue dei santi titolari, S. Pietro e S. Paolo, che conferiscono all'insieme una particolare solennità.

Nell'ambito di nuove ricerche sulle opere di Leonardo Pacassi (De Grassi, 1998) è stato avanzato qualche dubbio sulla paternità delle due statue, che sarebbero "di gran lunga superiori agli altri elementi plastici, quali ad esempio l'angelo posto a reggere la terminazione superiore del drappo" e pertanto andrebbero sottratte alla bottega pacassiana a favore di un autore, peraltro non ancora identificato, di ambito veneziano. Effettivamente le due statue, d'impronta realistica e movimentate da ricchi panneggi, si distinguono nettamente nel panorama della scultura locale e meriterebbero ulteriori approfondimenti.

Con l'allargamento seicentesco il Duomo gradiscano si arricchì anche di altari minori, dotati a loro volta di notevoli pregi artistici, ad iniziare dall'altare di S. Nicolò, già citato come proveniente dalla chiesa di Versa. Questo è, tra tutti, il più vicino allo stile dell'altare maggiore con cui ha in comune l' uso di intarsi marmorei che conferiscono colore e vivacità alla struttura, peraltro piuttosto semplice, del dossale e della mensa. Probabilmente a ragione la Lorenzon Radolli (1984) vi ha visto un intervento di Leonardo Pacassi nell'aggiunta degli stemmi Comelli.

Gli altari di Ognissanti (oggi del Sacro Cuore) e di Sant'Anna, quest’ultimo collocato nella Cappella Torriana, appartengono, invece, al Settecento. Il primo, costruito per volere della famiglia de Fin di cui reca lo stemma al centro del fastigio, è il più tardo, e va collocato senz'altro nella seconda metà del secolo XVIII come dimostra la semplificazione delle forme e la sobrietà dei particolari decorativi, ormai lontani dagli eccessi del barocco. Si torna nuovamente al modello pacassiano, invece, nell'altare di S. Anna, costruito nel 1714 e caratterizzato da una mensa con una fitta schiera di specchi marmorei ovali che si armonizza pienamente con il motivo "a onda e a spirale" delle volute in marmo nero che incorniciano l'alzata.

Tra le opere minori di scultura vanno segnalate senz'altro anche le pietre tombali delle famiglie de Comelli e Novelli, le uniche superstiti di una serie molto più numerosa, già collocate sul pavimento e ora addossate alle pareti. Va sottolineata, a proposito della tomba Novelli, la cornice nera di marmo con intarsi a motivi tondi, ovali e cuoriformi già visti sugli altari maggiore e di San Nicolò.

Un discorso a parte meritano gli stucchi del soffitto e della volta a botte del presbiterio della Cappella Torriana. Si tratta indubbiamente di un lavoro di notevole interesse che, tra l'altro, è sopravvissuto fortunosamente alle tante distruzioni che hanno colpito questa chiesa, in cui l'apparato decorativo era ben più vasto di quanto si può vedere oggi, come testimoniano le immagini pubblicate nel 1916 da Folnesics e Planiscig. Queste ci mostrano un interno ricchissimo di stucchi, distribuiti soprattutto fra presbiterio e navata centrale a ornamento delle pareti, degli intradossi degli archi e delle lunette del soffitto.

 

Si notano, però, delle vistose differenze tra il disegno dei motivi decorativi del corpo principale della chiesa, almeno da quanto è possibile vedere dalla fotografia del '16, e quello del soffitto della cappella di S. Anna. Dai particolari ingranditi del soffitto sembra di poter riscontrare nella decorazione perduta un impostazione classicheggiante, con un più equilibrato rapporto tra pieni e vuoti e una migliore definizione delle forme, anche se prevale sempre il motivo vegetale stilizzato alternato a quello dell'angioletto.

Nella decorazione di S.Anna, invece, colpisce l'affollamento delle figure e del fogliame, che, forse anche per qualche alterazione provocata da un trattamento poco consono alla delicatezza dei materiali, rende difficile cogliere la suggestione della rappresentazione, ma soprattutto impedisce di apprezzare la differenza di profondità ricercata dall'artista fra la parte centrale del soffitto, che allude alla volta celeste con un volo di angeli che recano i simboli della Passione di Cristo, e la restante parte delimitata da una folta ghirlanda sorretta da figure angeliche più rilevate. Queste hanno sembianze umane fino alla vita, mentre il resto del corpo è sostituito da propaggini vegetali che vanno a inserirsi nel contesto dello sfondo. Ugualmente appare sovraffollato e poco chiaro il disegno decorativo della volta a botte del presbiterio, benchè eseguito con mano più leggera e maggiore parsimonia nella distribuzione degli elementi figurativi.

Quanto alla datazione, mentre per la navata centrale e il presbiterio non si possono azzardare per ora ipotesi, la decorazione della cappella, secondo la Lorenzon Radolli, dovrebbe collocarsi tra il primo e il secondo decennio del '700. La stessa studiosa ha cercato di mettere in relazione questo lavoro con altre importanti realizzazioni a stucco tuttora esistenti nel Seminario Verdembergico (Biblioteca Statale) di Gorizia e nella Chiesa della Vergine Lauretana di Versa, ma anche con quanto resta della decorazione del Santuario della Castagnevizza. Per tutti questi lavori propone la paternità di Giovanni Pacassi, contestata, però da De Grassi (1998), che la ridurrebbe all'opera goriziana e da Goi (1987) con cui concorda la Mozetic (1997) nell'escludere questa attribuzione. Resta comunque il fatto che la presenza della bottega pacassiana è documentata in qualche modo, e in tempi diversi, sia nel Santuario della Castagnevizza che a Versa, e questo non può che lasciare ancora aperti molti dubbi.

La grande opera di decorazione interna del Duomo di Gradisca nella sua rinnovata struttura si completò nel 1700 con un intervento pittorico di Giulio Quaglio, pittore lombardo operante dal 1692 a Udine, dove aveva eseguito molti affreschi per conto di importanti famiglie. Sembra che fosse stato chiamato a Gradisca dal parroco Ludovico Comelli, che però morì l'anno stesso. Il lavoro non fu, però, impegnativo come i cicli pittorici realizzati a Udine né come lo spettacolare soffitto del Duomo di Gorizia che avrebbe dipinto nel 1702. A Gradisca il Quaglio eseguì la decorazione dell'arco trionfale e fece una "Gloria d'angeli" attorno alla Pala di San Salvatore di cui si sono conservati alcuni lacerti, essendo state queste opere cancellate già in epoca settecentesca a causa di modificazioni nel presbiterio. Dopo la prima guerra mondiale fu possibile recuperare sotto l'intonaco, appunto, qualche frammento di queste pitture, sufficiente però per cogliere la buona qualità del lavoro.

Per quanto riguarda la decorazione pittorica originaria del soffitto, raffigurante la fondazione della chiesa dei Serviti, a sua volta perduta, ne rimane una riproduzione fotografica efficace nell'opera di Folnesics e Planiscig, che l'attribuiscono per le affinità stilistiche a Gaetano Zompini, nato a Nervesa nel 1702 e morto a Venezia nel 1778. Da ciò deriverebbe una datazione prossima alla metà del secolo XVIII, ma l'attribuzione non ha per ora alcun appiglio documentario che la confermi.

Risale alla metà del Settecento anche la costruzione della facciata del Duomo, iniziata nel 1750 su progetto di Paolo Zuliani, gradiscano, appartenente ad una grande famiglia di scultori e altaristi di origine veneta stabilitasi a Gradisca dalla fine del '600, e terminata nel 1759. Con questo intervento può dirsi completata, dopo un secolo, la realizzazione, sulla base dell'antica chiesa di San Salvatore, del Duomo dei SS. Pietro e Paolo di Gradisca.

Questo sito è stato creato da Maria Masau Dan nell'ambito delle attività svolte tra il 2015 e il 2018 dal Comitato Eggenberg di Gradisca d'Isonzo per ricordare i 300 anni dalla fine della Contea principesca di Gradisca (1717) e costituisce la testimonianza di quelle attività. 

La pubblicazione non ha cessato di esistere dopo la celebrazione dell'anniversario ma mantiene l'obiettivo di diffondere la conoscenza della città e della sua storia non solo nel periodo in cui è stata capitale di una contea principesca (1647-1717) sotto il casato stiriano degli Eggenberg, ma anche prima e dopo.