Nel 1453 il sultano Maometto II conquistò Costantinopoli provocando la caduta dell'Impero romano d'oriente e manifestando ben presto mire espansionistiche verso l'Europa, Tra le prime conseguenze ci furono gli assalti ai possedimenti veneziani nel Mediterraneo Orientale, per cui nel 1463 scoppiò la guerra tra la Repubblica di Venezia e l'Impero Ottomano.
Ma la pressione dei Turchi si esercitava anche verso la terraferma veneziana e in particolare verso il Friuli, diventato parte della Repubblica nel 1420. La loro prima massiccia incursione nel territorio friulano avvenne nel 1472, ma anche in precedenza si erano verificate scorribande di predoni. Varcando i passi del Carso in 8000 cavalieri avevano superato senza difficoltà il fiume Isonzo e corso poi in lungo e in largo per tutta la pianura fino a Udine, incendiando villaggi, facendo stragi tra i contadini e tornando indietro carichi di bottino e di migliaia di prigionieri. Le truppe venete dislocate sul territorio erano impreparate a fronteggiare attacchi di questo furore e di questa rapidità, per cui il problema richiese delle misure adeguate da parte della Repubblica.
Fu deciso di concentrare tutte le forze sulla linea dell’Isonzo, che rappresentava il confine naturale, e la si fortificò scavando una lunga trincea protetta da terrapieno e palizzate e sorvegliata da tre forti, il più settentrionale posto all'altezza della localita Mainizza (dove l'lsonzo riceve il suo affluente Vipacco, la cui valle era una possibile via d'accesso dei Turchi), quello centrale a Gradisca ed il terzo, l'unico sulla riva sinistra, a Fogliano.
I lavori di fortificazione iniziarono nel 1473, sotto il controllo del nobile friulano Cittadino della Frattina, e proseguirono piuttosto speditamente, poiché già l'anno dopo il Senato ordinò che le truppe sparse per il Friuli si concentrassero nella fortezza costruita lungo l’Isonzo “già per la maggior parte fatta”. A guardia della fortezza furono mandati 3000 cavalli e alcune compagnie di fanti. Con lo stesso provvedimento fu prescritto a tutto coloro che avevano proprietà in Friuli di contribuire alle spese per le fortificazioni, poiché quel «beneficio era universale».
Le truppe concentrate sul fiume Isonzo vennero subito accuratamente addestrate e fornite di un congruo armamento ma quando, nell'ottobre 1477, i Turchi comparvero nuovamente e, aggirando l'ostacolo delle fortificazioni, sorpresero i Veneti alle spalle, si ebbe un'autentica strage, in cui morì anche uno dei comandanti, il conte veronese Gerolamo Novello.
La nuova barriera difensiva dell'lsonzo evidentemente era ancora insufficiente a contenere la violenza dei Turchi, come risulta anche dalla documentazione storica conservata su questo argomento, per cui si rendeva necessario un intervento ben più massiccio. Furono inviati sul posto quattro provveditori (Domenico Giorgio, Candiano Bollani, Giovanni Emo e Zaccaria Barbaro) coll'incarico di studiare un nuovo progetto. Ne risultò un piano abbastanza complesso che prevedeva la costruzione di una doppia strada fra le le cittadelle di Gradisca e Fogliano, e il potenziamento del presidio di Gradisca, collocato nella posizione più favorevole, anche per la presenza di un’altura, sia pure poco elevata. I progettisti incaricati dell’esecuzione erano Enrico Gallo e Giovanni Borella, allora impegnati nella costruzione delle fortificazioni di Brescia. Essi giunsero a Gradisca all'inizio del 1479, e iniziarono subito, sotto la guida di Giovanni Emo, divenuto intanto Luogotenente del Friuli, i lavori per l’edificazione delle mura.
Emo ebbe parte molto importante in quest'impresa tanto che uno dei due architetti propose per la nuova fortezza il nome di “Emopoli”, come ricorda un’altra delle epigrafi tuttora conservate: ANNO SAL MCCCCLXXIX IOANNI MOCE PRINCIPE IOAN HEMUS IULIENSIUM PRAETOR M,ERITISS GRADISCAE TUMULUM CONSENSU PATRUM MURO ET FOSSA MUNIENDUM CURAVIT HENRICUS GALLUS ARCHITECTUS AB AUCTORE HEMOPOLIUM AUSPICATISSIME NOMINAT. La denominazione in suo onore inventata dall'architetto però non entrò mai in uso e la località continuò ad essere chiamata Gradisca .
Dall'"Itinerario di Marin Sanudo nella terraferma veneziana" (1483)
"Gradisca è una citadela nuovamente da nostri contra le incursioni barbariche fabricata. Era Proveditor a farla fabricar Zorzi Sommarippa veronese con alcuni fanti; et sopra una porta dove intramo è epitaphio uno zioè 'Franciscus Tronus Alovisij Provisor primus'. Qui in questa citadela è una roca con uno castelan con page 10, quadra e nassa et al mio giudizio poco forte, novamente fabricata; et sopra la porta di dita rocha è questo epitaphio, 'F.Tronus Alovigij F.Provisor primus arcit G.Architectus dominii iussu finem fecero 1481. Et le mura di questa citadella continue si lavorava; et le mura e torioni è in triangolo a do porte, et da tre bande è agua per l'Isonzo che è ivi vicino.; et sopra una porta è questo epitaphio. 'Gradiscam viculi appellatione Turcorum incursionibus oppositam condidere Veneti. Francisco Trono Aloysii filio Provisore primo.
Proprio quando si avviava la costruzione della nuova fortezza di Gradisca, la Repubblica di Venezia riuscì, cedendo la città di Scutari, a ottenere dall'lmpero ottomano una tregua ventennale, con cui cessava, almeno temporaneamente, il pericolo delle incursioni turche in Friuli.
Non per questo le opere si interruppero, anzi, il governo mostrava un particolare interesse a che si compissero nel minor tempo possibile e incentivava in tutti i modi l'insediamento dei civili e la costruzione di case entro la cittadella, continuando ad ignorare le proteste del conte di Gorizia, da una parte, e del Capitolo di Aquileia, dalI'altra, per l'occupazione e lo sfruttamento di terre a loro avviso escluse dalla giurisdizione veneta.
A conferma dell'importanza affidata a Gradisca dal Senato veneziano, leggiamo in un documento del 1481 che ad essa era stato destinato un Provveditore (il primo fu Francesco Tron) e che si tenevano in particolare conto le esigenze della vita civile, come dimostra la fondazione, nello stesso anno, di una chiesa assegnata ai Servi di Maria (ora chiesa della B.V. Addolorata).
Nel 1481 era terminata la costruzione della rocca, che secondo alcuni storici corrispondeva all’attuale castello, mentre per altri si trovava nella posizione dell’attuale Borgo Mercaduzzo. La costruzione delle mura, invece, richiese ancora molti anni.
Dopo i primi tempi, infatti, i lavori subirono un certo rallentamento, soprattutto a causa delle difficoltà finanziarie. Inoltre anche il popolamento della fortezza avveniva a rilento, data l’esistenza di molti vincoli e la disponibilità di spazi esigui per le abitazioni e per gli orti. Per permettere le manovre delle truppe, infatti, le strade della cittadella erano piuttosto larghe e disposte a scacchiera sul modello dell’accampamento militare romano.
Per almeno una quindicina d'anni dopo la fondazione non si registrano eventi importanti nella storia di Gradisca. Essa tornò ad essere al centro dell'attenzione del governo veneto, quando stava per scadere la tregua coi Turchi e molti segnali facevano presagire iI riaccendersi delle ostiIità.
Per questo motivo verso il 1497 riprese alacremente la costruzione delle mura e fu inviato a Gradisca un famoso architetto del tempo, Giacomo Contrin, con vive raccomandazioni al Luogotenente Giovanni Morosini, «che la fabbrica senza alcuna dilazione et perdimento de tempo se fazi et cum ogni presteza se conduche al fine», perché “niuna cosa più è desiderata a questo tempo»
Gli abitanti di Gradisca dovettero prepararsi a una nuova emergenza e liberare le strade della cittadella che ormai erano in buona parte occupate da orti.
Contrin ebbe l'incarico di chiudere la fortezza nella parte settentrionale, dove occorreva «tajar el saxo» perché il terreno era roccioso e costruire una robusta muraglia protetta da due torrioni, uno rivolto a ovest, detto “della Campana”, più massiccio, e uno rivolto a nord, detto “di San Giorgio”. In questo tratto di muro si apriva la Porta d'Alemagna (chiamata, secondo le epoche, anche Porta di Farra o Porta di Gorizia o Porta Nuova)
Con queste opere la fortezza di Gradisca era completata. Il suo perimetro corrispondeva a un pentagono irregolare (forma piuttosto comune in quel periodo) con il vertice rivolto al fiume e gli angoli rafforzati da torri circolari (sette, tra cui, oltre ai due torrioni già nominati, i torrioni del Palazzo, della Calcina, della Spiritata, della Marcella e del Portello); era provvista di due porte (la seconda, aperta sul lato meridionale, era detta «Porta d'ltalia») e circondata da un fossato.
Nel 1499, alla scadenza della tregua coi Turchi, le ostilità ripresero, ma Gradisca, a quella data, era ben munita e preparata ad affrontare una nuova incursione.
Tra le truppe concentrate nella fortezza serpeggiava tuttavia una grande paura. Le notizie sul numero dei Turchi che stavano avanzando dalle pianure slave erano impressionanti ed il coraggio dei veneti diminuiva via via che i nemici si avvicinavano. Così, quando furono sotto le mura nessuno volle uscire a combattere e ciò permise a un’orda di decine di migliaia di ottomani di lanciarsi sui villaggi friulani fino al Tagliamento. per poi tornare indietro con un lungo seguito di prigionieri.
Responsabile di questo gravissimo episodio fu ritenuto il provveditore di Gradisca, Andrea Zancani, che si era opposto anche alla volontà di alcuni soldati di portare soccorso ai compatrioti in catene, dicendo, come fu poi ricordato nei “Diari” di Marin Sanudo, «No vogio farme amazar»: per questo infame comportamento egli fu in seguito processato e bandito dal Friuli.
L'episodio servì, comunque, a dimostrare che la protezione della linea dell'lsonzo rimaneva ancora insufficiente. Ad aggravare la situazione si era aggiunta nel frattempo l'intenzione dell'imperatore Massimiliano d'Absburgo di estendere i suoi domini verso la terraferma veneta, aumentando il pericolo di invasione sul confine orientale.
Fu agevolato da una circostanza per lui molto favorevole. Nell’aprile del 1500 morì l’ultimo conte di Gorizia, legatissimo alla casa d’Austria e i suoi possedimenti passarono automaticamente agli Asburgo, portando il confine dell’Impero a ridosso della Repubblica di Venezia e creando uno stato di tensione permanente.
Nello stesso anno il Senato veneto fece un ulteriore tentativo di migliorare le difese dell'lsonzo. Inviò sul posto addirittura Leonardo da Vinci, che si trovava a Venezia esule da Milano. Interpellato per valutare le fortificazioni costruite sul fiume, egli (che ricordò quest'esperienza in un passo del Codice Atiantico) giunse alla conclusione che era molto difficile creare ripari sull'lsonzo «che alfine non sieno ruinati e disfatti dalle inondazioni» e propose, pertanto, la costruzione di una diga mobile - peraltro troppo complessa e costosa e, alla fine, irrealizzabile - che solo all'occorrenza consentisse di allagare la zona per impedire il passaggio degli eserciti.
Di lì a qualche anno scoppiò la prevista guerra tra Venezia e l'imperatore Massimiliano. Nel 1508 questi invase la terraferma veneta scendendo dal Trentino con un forte esercito. Conquistò facilmente un vasto territorio, ma il suo fu un successo di breve durata, perché i Veneti contrattaccarono subito e recuperarono i loro possedimenti, strappando, anzi, qualche lembo di terra imperiale, come Gorizia, che cadde nelle loro mani nelI'aprile di quello stesso anno e vi rimase fino all'anno successivo.
Costretto alla tregua, Massimiliano non rinunciò ai suoi propositi e con un grande impegno diplomatico riuscì a procurarsi delle alleanze, con le quali potè stringere la famosa Lega di Cambrai (dicembre 1510) a cui aderirono il papa Giulio II, il re di Francia Luigi Xll, il re Ferdinando d'Aragona e i duchi di Ferrara, Mantova, Savoia.
Venezia si trovava in una posizione di estrema debolezza, ma l'imperatore non riuscì ugualmente nell'intento di fare larghe conquiste; riebbe, però, i territori occupati dai Veneti e si impadronì anche di alcuni loro possedimenti, tra cui la fortezza di Gradisca, che, violentemente attaccata nel settembre 1511, e senza collegamenti col resto dell'esercito, nonostante una strenua resistenza non resse all'urto degli incessanti bombardamenti e, anche per lo scoppio di una pestilenza all'interno, fu costretta ad arrendersi.
Inutilmente Venezia cercò di riconquistarla, sia immediatamente dopo, sia nel corso degli anni; si può dire che la Repubblica si sia arresa alla sua perdita solo alla fine del ‘500, quando fondò a poca distanza la fortezza di Palma. Non mancarono, però, anche in seguito occasioni per tentarne la riconquista.
La guerra fra Venezia e l'Impero si concluse con la pace di Worms, nel 1521, quando Massimiliano era già morto e gli era successo Carlo V, ma la questione dei confini rimase irrisolta ed avrebbe costituito motivo di ulteriori, interminabili trattative diplomatiche.